Tutto è cominciato per colpa di un'amico. Proprio così, spesso durante i nostri incontri il discorso finiva sempre li, fare la NYRR, un sogno che ogni runner coltiva e lui me li ripeteva spesso "pensa Roberto, deve essere bello farla". Ma io, che di maratone ne avevo fatte ben UNA e che ricordavo i sacrifici passati, di fare un'altra prova del genere con le mie ginocchia scricchiolanti non ne avevo sinceramente voglia.
Ma l'amico che mi ritrovo su certe cosa è come un martello che sa battere bene i suoi chiodi!
Così non perde occasione per esporre alle nostre mogli le bellezze di New York e dell'America proponendo un bel viaggio turistico così che alla fine mi sono trovato tutti appesi ad un mio consenso, ero alle corde...
Ed alla fine, come era prevedibile ma con un po' di tristezza per quello che fisicamente mi aspettava ho ceduto "OK, mi hai convinto, andiamo!".
Mi ricordo ancora, durante le ferie trascorse assieme al mare, quando l'amico mi proponeva le tabelle di allenamento e con quale tristezza le guardavo pensando a quanti km ed a quante levataccie mi aspettavano.
Alla fine scegliemmo una tabella leggera, solo 4 uscite con 40/50 km settimanali, tre lunghi ma... non troppo (25, 30 e 30). Insomma il minimo della pena per riuscire ad arrivare in fondo (con l'incubo degli ultimi 10 km).
E così, come un cagnolino con la coda in mezzo alle gambe (si, questo era il mio stato psicologico iniziale), iniziai con le levataccie mattutine, forzate da un caldo estivo insopprtabile, per ottemperare a quello che mi pareva più un obbligo che un divertimento.
Con il passare delle uscite e con il calare dell'afa estiva però qualcosa cominciò a cambiare nel mio fisico e piano piano anche nella testa. Dopo gli iniziali dolori scheletrici e muscolari mi accorgevo che le gambe rispondevano sempre meglio alle prestazioni e cominciavo a pensare che potevo, si forse non è così improbabile che arrivi al traguardo. Anche con i lunghi, uno dopo l'altro miglioravo la resistenza fisica. Quasi non ci credevo, il mio vecchio fisico risponde ancora alle sollecitazioni. Mi sentivo, mi sento bene fisicamente, insomma un mezzo miracolo!
E come tutte le belle storie alla fine arriva il giorno fatidico, si parte.
Grazie all'impagabile aiuto del mio amico e di sua moglie che hanno scrupolosamente organizzato questo viaggio in ogni dettaglio si parte per gli States. A dirla tutta l'avventura non è iniziata proprio bene, ritardi dei voli, mancate coincidenze e valigie perse ci hanno messo alla prova per 24 ore Ma con il vantaggio di abituarci subito al fuso orario.
Nemmeno il tempo di riprenderci che è già ora, il D day è arrivato, domani si corre questa fantomatica maratona.
La giornata inizia presto, alle 4:30 suona la sveglia. Colazione un po' avventurosa e poi giù a prendere l'autobus che ci porta al traghetto. E sul il traghetto non si parla più solo italiano, una miriade di atleti di tutte le etnie e provenienze cominciano a ritrovarsi per quell'unico comune scopo, la NYRR. Ma quanti sono, non riesco a capacitarmi, centinaia e centinaia. Una volta attraccati a Stanton Island, in questo fiume di persone si inizia a capire quanto perfetta sia l'organizzazione della corsa. Persone con cartelli indicanti il percorso, i bagni e info point, tutte estremamente cortesi e sorridenti ti mettono a tuo agio in ogni situazione di incertezza.
Fuori dal terminal ci aspettano gli autobus, centinaia di autobus che ti portano al punto di inizio gara. Arrivati a destinazione, dopo i rigidi controlli di sicurezza, si entra nella zona "protetta". Un enorme parco suddiviso in aree distinguibili dai colori del pettorale dove si trovano, oltre ai tanto agognati bagni chimici, anche ogni genere di comfort: tè, acqua, banane, panini ecc. Si respira un'aria di eccitazione ed euforia fra i migliaia di concorrenti. Ti guardi attorno e ne vedi di tutti i colori, chi cerca di dormire, chi parla, chi inizia il riscaldamento (manca un'ora e mezza al via), chi fa stretching, chi si abbuffa con dolcetti offerti negli stand. Insomma passi il tempo a guardare e stupirti dei comportamenti altrui, è come leggere un libro...
Mi squilla il telefono, è Carlo, è arrivato anche lui al parco e dopo un po' ci ritroviamo abbracciati, travolti dallo spirito sportivo e nazionale come due bambini, mi venivano quasi le lacrime. Un breve saluto e poi ci si divide nuovamente. I megafoni continuano ad invitare i concorrenti ad entrare nei Corral assegnati, è quasi ora.
Dalla mia posizione vedo a perdita d'occhio solo teste e qualche albero che si erge da quel fiume di persone. A fianco il cavalcavia con due rampe visibili, piene zeppe di atleti, sono quelli della Wave 1, la prima delle quattro ondate che invanderà la città ogni 25 minuti. Puntuali come gli svizzeri ma esibizionisti come gli americani amano fare, altre 9:50 una bella voce di donna intona l'inno nazionale che all'ultima nota lascia spazio a tre elicotteri che irrompono in formazione a bassissima quota sopra gli atleti, un brivido lungo la schiena mi commuove da cui mi riprendo subito scosso dal primo colpo di cannone: si parte. La prima ondata con i top runner sulla rampa superiore si muove seguita dagli atleti della rampa inferiore e da un'altra rampa non visibile. Confluiranno assieme dopo pochi chilometri. Ma quanti sono, non finiscono mai, sembra uno sciame di cavallette, impressionante, ed è solo la prima ondata.!!! Finalmente ci si muove, anche noi guadagnano le rampe del cavalcavia che danno accesso alla partenza. Gli atleti precedenti hanno lasciato a bordo strada di tutto, bottiglie, energetici, tanti, tanti vestiti.
Ma ora tocca a noi, ci siamo, è il mio momento. Il cuore mi sale in gola, cerco di distrarmi guardando in giro, sparando battute al mio amico, fedele compagno di avventura che mi rassicura. Alle 10:15, nuova canzone e nuovo colpo di cannone, si va, prima camminando e poi piano piano di inizia il trotto.
Su per il ponte di Verazzano, con calma, non voglio forzare, cerco di non fare l'errore di sempre. Mi aiuta come sempre lui, il mio amico che detta il blando ritmo iniziale. Dopo la piccola salita iniziale inizia la discesa del ponte che porta nel Brooklyn e ci si avvicina alla zona urbana.
E qui avviene l'impensabile, quello che ci era stato annunciato in conferenza pre gara, il pubblico parteciperà alla gara.
Più andavano avanti e più rimanevo incredulo da quanta gente si accalcava ai bordi delle strade ma sopratutto da quanto incitavano gli atleti con urla, applausi, incitazione spesso nominali (il nome stampato sulla maglia è servito...). Insomma da restare a bocca aperta, questi cori di esultanti tifosi ci ha accompagnato per tutta la gara, dall'inizio alla fine. Salvo brevi tratti dove il pubblico non poteva accedere, non vi era angolo dove non trovavi gente che applaudiva ed invitava. Insomma i chilometri (almeno i primi 30) sono passati quasi senza me ne accorgessi, distratto da questa folla galvanizzante. Anche quando, in preda alla stanchezza che era arrivata inesorabile dopo il 35esimo, iniziavo a camminare gli incitamenti erano così coinvolgenti che mi obbligavano a ripartire.
E così, con non poca sofferenza entriamo a Central Park e fra ali di folla da stadio percorriamo gli ultimi chilometri e finalmente, in leggera salita ecco profilarsi il traguardo. A pochi metri dalla fine prendo la mano del mio amico e la porto in alto passando il traguardo assieme con le braccia alzate, è fatta!!! Grazie amico mio per avermi convinto, grazie amico mio per avermi aiutato a crederci... grazie Andrea, sei un vero amico.
Roberto Massarutto