Molto noto tra i runner amatoriali, il metodo di allenamento cosiddetto “a sensazione” è un pratica più diffusa di quanto si pensi: capita spesso, infatti, che chi corre più per obbligo, magari per dimagrire oppure per consiglio del medico, piuttosto che per passione cada nell’errore di non pianificare le sedute di training, ma di seguire il momento, ovvero di allenarsi in base a quello che ha voglia di fare quando comincia il training.
In questo modo si alternano corse più lunghe e meno intense, oppure più brevi e molto veloci, o ancora vere e proprie passeggiate: un’intermittenza dello sforzo fisico che sicuramente non fa bene all’organismo.
Chi pratica l’allenamento a sensazione tende a difenderlo in quanto connubio di corpo e mente, difendendo questo metodo con la convinzione che il cervello “sappia” quanto il corpo è in grado di rendere in una determinata circostanza. Ma quello che non tutti i sostenitori di tale training sanno è che questa pratica è stata studiata a lungo, già negli anni Ottanta, per approvarne o meno la validità.
Nel 1982 il ricercatore Borg mise a punto una tabella, tuttora seguita, per definire gli allenamenti in base allo sforzo fisico, identificato grazie all’attribuzione di un punteggio.
Si va da una gradazione di sforzo estremamente leggero fino a quello estremamente faticoso, passando per sette differenti gradi: il problema della tabella, in sè valida, è che non è semplice come sembra che il runner amatoriale riesca ad assegnare ad un tipo di training il giusto grado di difficoltà.
Sebbene infatti sembri quasi impossibile confondere un allenamento molto leggero con uno molto faticoso, sono molti i fattori che possono concorrere nell’attribuzione di un valore sbagliato alla propria seduta di corsa.
Tra questi ci sono, ad esempio, percezioni erronee dell’allenamento dovute a momentanei problemi extra sportivi, oppure al clima esterno, che si tollera più o meno in base al proprio organismo.
Per capire allora se si è capaci di identificare con esattezza i propri allenamenti, è sufficiente fare una sorta di test con due diverse prove: la prima è quella di fare una corsa di 10 chilometri mantenendo la propria frequenza cardiaca al 70% della massima; la seconda, invece, una corsa di 10 chilometri da 30 secondi al chilometro. In entrambi i casi è sufficiente inquadrare i due allenamenti nella tabella e vedere se la risposta è corretta.
Il primo allenamento, in realtà, è molto leggero, mentre il secondo abbastanza leggero: in base a quanto è errata la risposta che si è data, si può facilmente comprendere se ci si sta sotto allenando, oppure se si è abituati a tirare troppo nelle proprie sedute di training.
Curiosamente è più semplice identificare gli allenamenti per chi corre da più tempo: questo perché i runner abituali conoscono meglio le risposte del proprio organismo all’intensità della corsa, mentre chi corre da poco dovrebbe completamente evitare l’allenamento a sensazione, dal momento tale pratica che rischia di risultare dannosa, invece che d’aiuto.
In conclusione, il vero problema di questa forma di training è che la sensazione che dà il nome all’allenamento non è la reale risposta fisica al tipo di sforzo, ma un’elaborazione della mente influenzata anche da dolori e microtraumi che sono normali nel post allenamento, ma che il cervello amplifica.
L’allenamento ottimale, quindi, è quello pianificato in precedenza, non influenzabile da valutazioni viziate del proprio stato fisico.