Il jogging non è sempre esistito: i primi a correre per strada venivano presi per matti, e i tapis roulant si usavano per punire i carcerati
Da qualche decennio per moltissimi è piuttosto comune andare a correre di tanto in tanto, per passione o perché fa bene: è persino diventato qualcosa di cool, alla moda. Si va a correre con scarpe e vestiti di marchi importanti, comprati apposta, e spesso si corre ascoltando musica e tenendo il conto di chilometri, minuti, pendenze, battiti e ritmi con un contapassi, un braccialetto che faccia da tracker o lo smartphone attaccato al braccio. Insomma, correre non è più parte dell’allenamento per un altro sport: è uno sport. Fino a qualche decennio fa, però, la corsa fine a se stessa era considerata una cosa strana: non si “andava a correre”, i parchi servivano solo per passeggiare e alla corsa erano attribuiti significati diversi e meno nobili. Poi, negli anni Sessanta, qualcuno si inventò il jogging.
L’invenzione del jogging
La parola jogging deriva dal verbo inglese to jog – andare avanti a balzi – e da qualche decennio significa, in breve, correre a passo lento o medio. Il jogging è, per essere più tecnici, un esercizio aerobico, di quelli che non dovrebbero far venire il fiatone: una distinzione non ufficiale ma piuttosto condivisa è che se si corre a un ritmo superiore ai sei minuti per chilometro si sta facendo jogging, se si va più veloci si sta correndo. Fare jogging diventò popolare negli anni Sessanta e il merito è di Bill Bowerman, che al tempo allenava la squadra di atletica leggera dell’Università dell’Oregon.
Bowerman si appassionò al jogging dopo un viaggio in Nuova Zelanda in cui incontrò Arthur Lydiard, un altro allenatore, considerato il vero inventore del metodo. Si dice che Lydiard riassumesse il concetto alla base del jogging con l’acronimo LSD: Long Slow Distance, una lunga distanza, ma percorsa piano. Bowerman si stupì di quanto bene andassero gli atleti di Lydiard che si allenavano correndo tanto e lentamente e decise di portare quel concetto negli Stati Uniti, dove nel 1966 pubblicò il libro Jogging, in cui iniziò a parlare dei benefici della corsa lenta, non solo per gli atleti.
Nel 1968 il New York Times pubblicò un articolo su quegli strambi individui che correvano nel loro tempo libero e nello stesso anno il Chicago Tribune dedicò un’intera pagina a un articolo intitolato “Jogging: il nuovo modo di stare in forma“. Iniziava così:
Ogni giorno alle 6.30 del mattino John Rieben, un dirigente di 33 anni, si mette un paio di sneakers, indossa un po’ di vecchi vestiti, sguscia fuori di casa, e poi si mette a correre per Lincoln Park. Quando raggiunge il suo obiettivo si gira e corre fino a casa. Lo sta facendo da cinque mesi, con gran divertimento di amici e vicini, che vedono come una cosa folle il fatto che un adulto si metta a correre, e vedono questo suo rituale come una stupida perdita di tempo.
Per l’articolo furono intervistate anche altre persone – tutti uomini – con la stessa abitudine, descritta come strana e bizzarra. Tutti spiegarono che correvano la mattina perché farlo di sera sarebbe stato percepito come sospetto: Vox ha raccontato che non era infrequente per i primi jogger essere fermati dalla polizia e multati per “uso improprio del marciapiede”, o cose simili. Rieben e gli altri precursori furono tra i primi a percepire la corsa come qualcosa di simile a quello che è oggi, ma una spinta piuttosto importante alla sua diffusione arrivò da un altro oggetto che fino a pochi anni prima aveva un significato completamente diverso: il tapis roulant.
I tapis roulant
Gli antenati dei tapis roulant erano in pratica dei mulini (in inglese si chiamano treadmill, mill vuol dire “mulino”) che sfruttavano il movimento di persone o animali per far girare macine e in generale per produrre energia. Per gran parte dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, nelle prigioni si potevano trovare dei mulini azionati dal movimento di persone, che venivano usati per far sì che i carcerati producessero energia attraverso la corsa. Erano una forma di punizione e una delle attività che toccava fare a chi era stato condannato ai lavori forzati. Nel 1895 il Chicago Tribune pubblicò un articolo sugli anni passati in carcere da Oscar Wilde, condannato per sodomia, e scrisse che il mulino era «il grande spauracchio del carcerato inglese».
Il primo tapis roulant per uso domestico fu brevettato nel 1968, quando già aveva iniziato a essere usato da alcuni atleti e in ambito medico per terapie riabilitative. Lo costruì l’ingegnere meccanico William Staub dopo aver letto Aerobics, un libro scritto da Kenneth H. Cooper sui benefici dello sforzo aerobico per restare in forma. I primi tapis roulant domestici permisero alle persone di correre al chiuso, permettendo di superare la vergogna di farlo all’aperto.
La Nike e la tecnologia
Negli anni Settanta la corsa e il jogging si diffusero parecchio. Un’importante e successiva svolta la diede la grande società di abbigliamento sportivo Nike: fu fondata nel 1964 e tra i suoi soci aveva anche Bowerman. Con le sue pubblicità e i suoi prodotti, Nike contribuì nel corso degli anni a rendere la corsa interessante. Il primo famoso spot del 1988 con lo slogan “Just do it” mostra bene come già allora la corsa fosse diventata una cosa non solo buona, ma anche giusta: “Just do it” indica “determinazione, impegno, l’ideale americano del lavorare sodo trasposto nello sport e nell’attenzione per la propria forma fisica”.
L’ulteriore successo della corsa negli ultimi anni è dovuto probabilmente anche al modo in cui le pubblicità ne hanno cambiato l’immagine, facendola diventare una cosa alla moda.
E poi il resto
Come conseguenza del successo della corsa e del jogging sono arrivati film, libri, canzoni e articoli di giornale che, da anni, la celebrano: sono allo stesso tempo un prodotto della passione per la corsa e un modo per rinnovarla costantemente. Il libro più famoso sull’argomento è forse L’arte di correre del giapponese Haruki Murakami, uscito nel 2006: racconta di quando l’autore ha smesso di fumare e ha iniziato a correre 10 chilometri al giorno, ma ce ne sono molti altri.
Fonte: www.ilpost.it