giovedì 5 maggio 2016

Il massimo della tecnologia nella corsa: sapere anche farne a meno

Probabilmente se Dorando Pietri avesse avuto un cardiofrequenzimetro nei suoi allenamenti e soprattutto nella famosa Maratona Olimpica di Londra che lo ha consegnato alla storia, sarebbe stato medaglia d'oro olimpica, ma probabilmente non sarebbe diventato un mito dell'atletica.

Nella storia della corsa la tecnologia ha avuto un'evoluzione, che ha le sue radici nei primi cronometri da polso, passando ai cardiofrequenzimetri, giungendo alle prime "parabole da braccio" per misurare al meglio le distanze, giungendo ai fantastici strumenti integrati di oggi che ci dicono cosa e come farlo non solo durante l'allenamento, ma nell'arco di tutte le 24h. Devo confessarlo, ritengo tutto questo meraviglioso.

Trovo altissimi stimoli nel monitorare e pianificare i miei allenamenti, nel confrontarli, nello studiare cosa sta accadendo al mio corpo. Inoltre non possiamo essere ciechi: le diverse app che ci permettono di condividere in modo social ogni metro che facciamo ci aiutano nel mantenere alta la motivazione e a continuare ad allenarsi. Il social si sta sostituendo, o integrando, allo spirito di sfida delle migliaia di gare podistiche domenicali non competitive, dove durante le corse si compete non solo a chi arriva prima, ma a chi arriva prima nonostante l'infortunio più grande, e dove la sindrome "del pescatore", ovvero di colorire ed esagerare un po' le cose, ha grandissimo spazio. Ecco il social è spietatamente onesto e generosamente democratico dato che io, come Meucci o Straneo, posso condividere i miei risultati con tutti. Così apri Twitter, Facebook o Google+ e trovi migliaia di post che dicono quanti km hanno fatto i tuoi compagni virtuali di corsa e a quale ritmo. Devo dire che non mi dispiace, anzi!

Parlando di strumenti più tecnici che incrociano andatura, frequenza e ritmo cardiaco, ritengo siano utilissimi nella costruzione e svolgimento di un piano di allenamento. Ritengo anche che non è semplice utilizzarli al meglio: l'interpretazione dei dati non va eseguita solo allenamento per allenamento, ma all'interno di un ciclo che può essere micro (settimanale), medio (mensile) o lungo (un trimestre).

A questo punto mi sorge una domanda: è possibile fare a meno della tecnologia nella corsa? Questo è secondo me un nodo fondamentale. Ritengo, per i motivi che vedremo fra poco, che dobbiamo imparare a correre anche senza. Dobbiamo fare in modo che la tecnologia sia un mezzo, non un obiettivo. Prima però permettetemi di raccontarvi due episodi che mi sono accaduti recentemente.

Un paio di domeniche fa correvo ad una podistica non competitiva del mio paese e avevo in mente di farla in due parti, una lenta e la seconda a tutta velocità. Nella prima parte chiacchieravo con runners con molti più anni di corsa sulle spalle. La podistica si svolgeva nei percorsi dove solitamente mi alleno e, parlandone con uno di loro, lui mi ha chiesto dove fossero i miei segni. I segni? Poi mi si è aperta una finestra di memoria: prima dei gps o dei podometri, il runner attraversava i percorsi con l'auto facendo un segno con un gessetto ad ogni km. Devo dire che, sarò un romantico, ma per un attimo ho avuto nostalgia.

Il secondo episodio è stato pochi giorni dopo. Evidentemente Freud mi ha condizionato e ho dimenticato, ad una podistica serale, orologio, fascia cardio e sensore scarpa. Mi sentivo nudo, come quando esco di casa senza telefono (altro problema). Ero davvero a disagio. Era una 6km, parto e corro a sensazione. Faccio praticamente tutta la corsa a 30 metri da un ragazzo giovane,probabilmente inesperto, ma veloce. Non avevo deciso di seguirlo, è stato un caso. Arrivati, non ho resistito e gli ho chiesto a quanto avevamo corso. L'andatura era 20" in meno a km di quella che sto tenendo in questo periodo su quelle distanze. La cosa curiosa è che non ero affaticato di più del solito.

Questi episodi mi hanno fatto ragionare su quanto la tecnologia ci aiuti, ma ci possa anche condizionare. Dicevo non un obiettivo, ma un mezzo. Il fatto che un allenamento sia su una certa distanza e ad una certa andatura, è importante, ma se questo diventa una gabbia mentale siamo certi che ci possa aiutare? Inoltre c'è l'alto rischio che le mie sensazioni a fine corsa siano condizionate dal risultato che ho ottenuto, piuttosto che dallo stato fisico in cui ho concluso la prestazione. Se alla fine di un allenamento vedo di aver fatto peggio di quello che mi ero prefissato, mi deprimo. Magari (vedi la mia podistica) senza strumenti avrei fatto meglio. Infine guardando solo il dato numerico fatico ad imparare ad ascoltare le condizioni del mio corpo.

Il messaggio è quindi: non essere schiavi della tecnologia, dato che corriamo per stare bene e anche per battere i nostri limiti, non per accontentare un display, ed imparare ad ascoltare le sensazioni del proprio corpo, che è la strada per migliorarsi. Capire se ho energia per fare uno sprint o un allungo di qualche km. Capire se posso tenere un ritmo o un altro. Con questo non demonizzo l'utilizzo di strumenti, anzi ne esalto la vera funzione: guidarci nei nostri allenamenti, aiutandoci a migliorare senza limitarci.

La mia proposta è quindi fare almeno un allenamento a settimana senza nessuno strumento, a sensazione. Guardo l'ora prima di partire e quando torno così saprò poi come è andata, ma corro a sensazione, mi concentro sulla postura, sul passo, sulla coordinazione di gambe, braccia e respiro, imparo a conoscermi, trovo da solo i miei limiti e dopo assegno loro un dato, guardando la durata e la distanza dell'allenamento. Ogni tanto posso fare questo allenamento con l'orologio girato in giù, lo tengo con me, monitoro il battito, ma guardo il risultato solo alla fine.

Come Dorando sfido solo me stesso, poi, se voglio, posso raccontare agli amici, colorandolo un po', un lato romantico della corsa che spero non si perda mai.


Fonte: www.runningitalia.it