Si dice che le abitudini siano uno dei più grandi freni al cambiamento: è difficile perdere un’abitudine negativa ed è forse ancor più difficile acquisirne una (buona) nuova.
Per molti una cattiva abitudine è quella di non fare movimento. Per gli stessi (e per molti altri mediamente sportivi) acquisire l’abitudine alla cura del fisico è il principale ostacolo alla vita attiva.
Il bello e il brutto di ogni abitudine è che ci dà sicurezza: è la ripetizione di un rito spesso inconscio che tranquillizza. Anche le brutte abitudini hanno la capacità di darci sicurezza, sebbene capiamo che non ci fanno bene.
Cambiare abitudini
Secondo il comportamentista Dan Ariely, ci sono 3 tipi di decisioni che nella vita tutti prendiamo: le Grandi Decisioni (sposarsi, comprare una casa, scegliere un lavoro) e le Piccole Decisioni (bere un caffè, mangiare questo o quell’altro). Le prime influenzano profondamente la nostra vita, le seconde per niente. Ma esiste una categoria di decisioni intermedia: non sono cose importanti ma sono capaci a lungo andare di modificare la nostra vita. Sono le abitudini. Cose che facciamo sempre, ogni giorno. Pensa a mangiare una determinata cosa. A fumare. O a non fare qualcosa, tipo andare in bici al lavoro e preferirle la macchina. O correre, ovviamente. Ci piace dire che non sei un runner finché non hai bisogno di correre. E “aver bisogno di fare qualcosa” significa che ne sei dipendente, come lo è un fumatore dalla sigaretta. Ma in questo caso si tratta di una dipendenza buona.
Perché falliamo
Ariely nota che falliamo nell’acquisire una nuova buona abitudine al movimento per due motivi:
- Perché è faticoso
- Perché ci poniamo obiettivi troppo ambiziosi
Sul primo punto non c’è niente da aggiungere: finché non si capisce che il beneficio di correre supera la fatica che si fa a farlo non se ne esce.
Sul secondo invece la questione è psicologicamente più sottile: ponendoci obiettivi esagerati ci autosabotiamo. Pensiamo di aver elaborato un programma alla nostra altezza e invece ci siamo costruiti l’alibi per abbandonarlo. “Eh vedi, tanto non ce la faccio”. E non trascurare nemmeno il nemico più insidioso, quello che Ariely chiama il “Al diavolo!”: hai corso e allora ti premi mangiando di più (Al diavolo, ho corso tanto), o anche “Al diavolo, tanto non ne sarò mai capace”.
Il contratto
Il metodo che Ariely ha sviluppato è un contratto, stipulato con te stesso ma meglio ancora con un amico. Si compone di un programma di allenamento e delle penali se non lo rispetti. Esattamente come un contratto. Anche la mente adulta e sviluppata ha dei tratti infantili: ti ricordi quando mamma ti diceva “Mangi il dolce solo se finisci i compiti” o cose del genere? Beh: è un modello educativo discutibile ma funziona. Anche per gli adulti.Quindi procedi così:
- Stabilisci un programma ragionevole, con obiettivi alla tua portata
- Decidi come punirti se non lo rispetti
- Firma il contratto con te stesso o con un tuo amico/a
So che a questo punto sei interessato sulle possibili punizioni. Bene, te ne dico alcune: non mangiare il dolce dopo pranzo, non guardare il telefilm che ti piace tanto, non comprarti quel maglione che volevi tanto.
Il fatto di poterti punire ti rimette in controllo e non ha niente di masochistico. Hai tradito il contratto e tu stesso ti punisci. Tutto nasce da te e ritorna a te. E se non ce la fai ti serve un amico: quello con cui firmi il contratto. Sarà lui il tuo controllore e il tuo giudice.
Ci proviamo? Se lo vuoi fare da solo Ariely sta sperimentando un metodo per aiutarti: si chiama Stick to it! ed è una app che ti aiuta a rispettare il programma che lui stesso ha studiato per te con la Duke University dove insegna. Farai parte di una ricerca universitaria e degli esperti ti seguiranno nel percorso aiutandoti e motivandoti.
Fonte: www.runlovers.it